Parigi 1871, la Storia, un amore. Una recensione a “Fil rouge” di Alessandro Seri


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di Norma Stramucci

“Fil rouge. Le lettere segrete di Yvette Mirabeau”, di Alessandro Seri, Vydia editore, 2013, è un romanzo epistolare. Un genere che oggi può quasi apparire come una forma di narrazione inconsueta, ma non dobbiamo dimenticare che nell’800 fu considerato una innovazione originalissima. E’ un rapporto particolare tra realtà e finzione il motore di un romanzo epistolare. E ha le sue regole: è il personaggio che si sostituisce all’autore perché è egli stesso scrittore che racconta la propria vita.

È così che Alessandro Seri, con l’espediente tipico del genere, finge il ritrovamento delle lettere e inventa una vicenda, anzi una vita, probabile, con aderenza estrema alla storia, al reale. Non voglio insistere su alcuni precedenti celebri ottocenteschi (Goethe, Foscolo e prima ancora Montesquieu, Rousseau) perché Werther e Ortis sono uomini. Mi piace invece, per un confronto, rifarmi al Verga di Storia di una capinera. Le date coincidono: scritto nel 1869 il lungo racconto fu pubblicato nel 1871. L’affinità non è naturalmente nell’ambientazione ma piuttosto nel dramma della giovanissima Maria che scrivendo a Marianna rende manifesta, così come fa Yvette, tutta la propria intimità. Verga come Seri sono dunque penetrati in un universo non solo diverso dal proprio in quanto femminile, ma nello spirito di ragazze estremamente giovani. L’amore, seppure con modalità del tutto differenti, consuma entrambe. Potremmo anche dire condanna entrambe. Il sogno della capinera è solo quello di non essere chiusa nella gabbia, ostacolo insormontabile. La sua unica utopia è quella amorosa. Yvette è ben più complessa di Maria, semplice nei limiti del mondo che la contiene; più inquieta Yvette che oltre all’amore ha anche altre aspirazioni: viaggiare, studiare, iscriversi alla Sorbonne, l’amore per l’arte. “E’ l’arte che fa la vita” scrive il 22 luglio 1870 (p. 173). Maria ubbidisce, Yvette no. Ha una personalità decisa, a volte si contraddice, sta insomma crescendo, diventando donna, e ne è consapevole.

“Penso che il nostro passaggio sulla terra sia troppo breve, penso a tutti quelli che chiudono gli occhi per sempre e non è la morte a farmi paura, ma una vita vissuta in difetto, un’esistenza mediocre destinata a non lasciare traccia”. (p. 158)
“Nel mezzo di una folla mi colpisce chi va controcorrente, mi innamoro della traiettoria inversa e mi incuriosisce scoprirne la ragione”(p. 146)
È certamente sincera:
“Spesso ho bisogno di evadere in modi diversi, a volte scappare verso mete reali, spazi geografici di cui ho sentito parlare, altre volte la fuga è in me stessa. Capita che parlando mi distragga fino ad allontanarmi dal senso delle parole pronunciate e ascoltate; inizio a vagare, senza che gli altri se ne accorgano, tra i miei ricordi e le mie fantasie. Non è maleducazione, né mancanza di rispetto. È concedersi un piacere intimo. L’assenzio e l’oppio potrebbero essere utili ma io non ne ho bisogno: come da tempo sai, sono ubriaca di me stessa” (p. 141)
Esistono dunque gli altri per Yvette. “Arthur, anche io cresco e mi sento sempre più parte di una collettività” (p. 162) e soprattutto: “ La compassione è la comprensione del dolore altrui” (p. 144) sono frasi che testimoniano che chi scrive non è persona egoista. Ma la comprensione dell’altro viene dopo il suo essere ubriaca di se stessa.
Ecco dunque che appaiono lecite tre prospettive dalle quali poter analizzare il romanzo.
Una può essere data dal considerarlo classico romanzo di formazione, e ciò focalizzandosi sulla trasformazione di Yvette da ragazzina diciassettenne e volubile a giovane donna determinata; l’altra si può avere osservando l’evoluzione dell’amore per Arthur. Arthur innamorato quando lei non ama; Arthur solo amico quando la passione domina lei. In fin dei conti può apparire questo amore il fil rouge che lega ogni lettera all’altra, fino all’Epilogo. L’ultima, ma a mio avviso preponderante, risiede nel considerare Fil rouge un romanzo storico. A riprova di questo, di quanto cioè per lo stesso Seri la Storia nella vita giochi il ruolo di primo piano, porto innanzitutto un suo verso: L’amore non esiste, esiste il tempo.
E così se è vero che Yvette cambia, matura, è altrettanto vero che non solo lei di tali mutazioni è perfettamente consapevole ma che ha tutta la coscienza del fatto che mentre lei cambia, cambia Parigi. Cambia la Francia. Cambia l’Europa. La Storia dunque è la coprotagonista di questo romanzo. Ma quale Storia?
La prima lettera porta la data 20 agosto 1866. L’ultima 21 maggio 1871. Facendo quindi un semplice calcolo sappiamo che Yvette è nata nel 1859 e scrive dai 17 ai 22 anni.
Sono anni, quelli tra il 69 e il 71 che, ribadiamo, stravolgono non solo la storia della Francia ma quella di tutta l’Europa. Nella guerra franco-prussiana viene sconfitto Napoleone III permettendo anche all’Italia la presa di Roma. Yvette non può non sentire il peso degli avvenimenti. Nella lettera datata Parigi, 7 ottobre 1870, scrive infatti:
“Ti sono vicina , in questo periodo difficile per tutti, pieno di contraddizioni, tragico nella sua incertezza. Ognuno subisce gli eventi che la storia descrive: per anse e curve si insinuano fin nel nostro privato. Oggi più che mai scelgo di starti al fianco, perché mi rendo conto di quello che deve essere il tuo stato d’animo tra le preoccupazioni per i fatti di Sedan e quelle per la salute della tua fidanzata.” (p. 181).
Yvette appartiene alla ricca borghesia che in questo momento si mostra estremamente conservatrice e nemica delle aspirazioni del proletariato. È lontano il 48. Anzi , inizia il nazionalismo nella sua forma più aggressiva, e le conseguenze ci sono drammaticamente note: oltre le conquiste coloniali, l’antisemitismo e la I guerra mondiale. Il 21 maggio 1871 è dunque la data dell’ultima lettera. È la stessa della tragedia della Comune. Occorreva dare una lezione a chi avesse ancora avuto velleità egualitarie. La lezione consistette, dichiarò Thiers, nello spettacolo del suolo disseminato di cadaveri. Soltanto i fucilati furono 32000. Una violenza estrema che si abbatté contro tutti. Una violenza che contrasterebbe, striderebbe con i fatti, se il romanzo fosse terminato con il lieto fine.
Consideriamo invece ora gli anni precedenti, quelli dal 66 al 69: Yvette è più che benestante grazie ai commerci del padre. E infatti fu proprio durante il II Impero che si ebbe il decollo industriale della Francia. E’ con lui che iniziò l’epoca del capitalismo, appoggiato dai ceti borghesi ai quali permise l’accumulo di capitali. La ricchezza, lo sfarzo della Parigi dell’epoca li ritroviamo attraverso le passeggiate di Yvette, come pure vi ritroviamo traccia del disagio sociale mano a mano crescente. Scrive infatti il 20 ottobre 1869:
“Ho alzato gli occhi e l’ho visto accovacciato sugli scalini di Saint Sulpice, mi ha teso la mano, l’ho guardato negli occhi e lui ha ricambiato il mio sguardo. Penso di avere assunto un’espressione di stupore e pietà. Si incontrano molti mendicanti per le vie di Parigi; questa città pensata come il centro del mondo, sfarzosa e scintillante di luci, ha le sue ombre”. (p. 129)
Ciò per fornire alcuni esempi, solo alcuni, sottolineo, perché Yvette tra l’altro viaggia (viene anche in Italia, a Pompei, a Verona, a Modena, a Roma..); conosce nomi, quando non direttamente le persone, a noi noti (Bizet, Marx). Frequenta gli Impressionisti. Ama la poesia di Hugo. Soprattutto quella di Baudelaire.

***

L’uomo libero ama il mare. L’uomo libero può contemplarsi nel mare, in lui trovare i propri moti; riconoscersi complesso, amaro, quanto il mare. L’uomo libero e il mare si assomigliano. L’uno è l’immagine dell’altro. L’uomo ha gorghi profondi in cui nessuno ha il coraggio di calarsi; l’altro ha beni nascosti, segreti. Ma entrambi amano, disumani fratelli, il massacro e la morte. Fratelli dunque, o antagonisti? Solo amore, o amore-odio?

L’uomo e il mare
E tu sempre amerai, uomo libero, il mare!
In lui ti specchi intero: nei giuochi sempre nuovi
delle sue onde innumeri i moti tuoi ritrovi,
e nei suoi acri vortici le tue latebre amare.

In seno alla tua immagine entri senza spavento,
e con gli occhi e le braccia l’accarezzi: il tuo cuore,
talora distraendosi dal suo proprio rumore,
gode di quel selvaggio, indomito lamento.

Nessuno è come voi tenebroso e discreto:
chi osa, uomo, calarsi nei tuoi gorghi profondi?
chi, mare, a te contendere i beni che nascondi?
Tanto siete gelosi d’ogni vostro segreto!

Ma ecco, un contro l’altro, in spietati duelli
v’accanite da secoli a tentare la sorte:
a tal punto vi eccita il massacro e la morte,
o lottatori eterni, disumani fratelli!

Termino così a negare una verità in cui lo stesso Alessandro Seri penso creda: che Fil rouge. Le lettere segrete di Yvette Mirabeau non possa considerarsi anche dal punto di vista del romanzo autobiografico. Scrive Yvette (o scrive Alessandro)?:
“L’ho imparata a memoria perché è bellissima, e voglio celebrare in ogni mio gesto la Bellezza.” (p. 64)

Ed è solo un esempio.

(Il presente contributo è tratto dall’introduzione che la professoressa Norma Stramucci ha dedicato al libro in occasione della presentazione ufficiale che si è tenuta alla Pinacoteca Civica di Recanati il 22 settembre 2013. In foto, Alessandro Seri e Norma Stramucci in un momento dell’evento. L’articolo è apparso ne L’Adamo)