Un commento a “Dieci Bozze” di Alessandra Greco


di Alessandra Greco

Qui oserait dire que ce que nous avons détruit

valait cent fois mieux

que ce que nous avions rêvé et transfiguré

sans relâche en murmurant eux ruines? 1

René Char

Rachel Blau DuPlessis “Dieci Bozze”,

traduzione e introduzione di Renata Morresi, Vydia Editore, 2013

Su questo libro, forse, si potrebbe partire dall’assunto che tutto significa qualcosa, in qualche posto e che la relazione crea di nuovo e nuovamente 2. Vorrei dare importanza al concetto relazione, quindi, inteso in senso ampio, e connesso ai temi della memoria, e dell’oblio, dell’abbandono e della centralità monade.

La traduzione è (anche) mettere in relazione, il dialogo fra due donne autrici, ricerca una visione del reale in un ambito dove linguaggio tematico e immagine vengono a edificare anche struttura, un’architettura pensata per estensioni, coincidenti fra loro, e volutamente aperte, è tracciata.

L’intero lavoro dei draft è una mappatura in cui sono tessuti elementi, lungo un arco di trenta anni, raccolta e ricerca di osservazioni intorno alla coscienza, alla società, oltre che di vita personale e impersonale. Dieci Bozze potrebbe essere visto come un frammento del lavoro complessivo, che per la fortunata occasione di questa traduzione, ci appare concretamente, utile e prezioso.

Il primo draft, la prima bozza, è del 1986. Il lavoro si estende a long poem, ancora incompiuto (l’autrice sta completando Draft 96-114), passo dopo passo, l’architettura, la griglia dei draft indica che stare nel presente, storia nella storia, raccogliere lembi, testimonianze, tessendo ai bordi molteplici voci e appartenenze, significa fare un lavoro di contenimento, cosciente dell’essere provvisorio e insieme costante, margine assente ma presente, attivando dal posto in cui si trova una costellazione di strategie, possibilità di relazione 3, che si formano a partire dalla propria unicità contenuta.

Si comincia già avidi, inviluppati, in trappola, ovvero in intrecci senza fine 4

e Non c’è nient’altro per te / oltre a dove stai 5

DuPlessis intesse questi concetti in un lavoro imponente, che chissà a quali sorprendenti sviluppi porterà.

Tutto questo passo è riassunto nelle parole di Renata Morresi, in introduzione, pag. 28:

La speranza (non troppo) segreta di chi traduce poesia, in fondo, è anche quella di innescare nuove combinazioni, ovvero condividere con gli altri parlanti l’occasione di altre scelte: che qui possono essere quelle date da una elegia piena di tensione ermeneutica e da un esperimento linguistico immerso nella coscienza storica.

Il traduttore è un costruttore di ponti terrestri, invoca la riconciliazione della lingua, scrive Elisa Donzelli nella postfazione a «Due rive ci vogliono» 6

L’Orione di Char (in Aromates Chasseurs), l’Orione costruttore di ponti, da costellazione a mito, si fa umano.

Tra le cose, il polistirene, le polveri, l’arbre magique, gli autobus notturni 7, che sono ormai in natura, scesi a livello naturale, anche gli angeli; ci si chiede a che cosa si sia rivolta l’attenzione delle stelle.

In Bozza 60: Rebus, le costellazioni sono capovolte 8, vediamo il ponte, l’emisfero da un’altra angolazione.

Il poeta tiene le parole in questa sfaldatura, la poesia stessa è portata come anima bella, tra le braccia, il compito è vedere l’enigma, nella citazione di Heidegger 9, un rimando ancora a Char: «Possiamo vivere solo sul semiaperto, esattamente sulla linea ermetica di spartizione tra l’ombra e la luce. Ma siamo irresistibilmente proiettati in avanti. A questa propulsione tutta la nostra persona presta aiuto e vertigine».

Cassiopea in altro emisfero, capovolge, è un Omega capovolto.

Il poeta e le figure sull’orlo di eclissarsi, scatole di luce, scatole del tempo, esposte all’universo, archi proiettati verso un’infinita rete di rimandi e congiunzioni, con attenzione alla parola possibile, anello, mancante, sedimento che allarghi rapporti, innocenze, drammi. L’osservatore presente, ha a che fare con una poesia che interroga e che lo fa interrogare.

Ci si domanda (e si avverte la cura stretta, la vicinanza), se è possibile ancora tenere distanza e misura, tra forze intelligenti che non si gettino solo affiancate, ma restino salde, pur nella paura tracotante che è/ha la nostra epoca avida. Ci si domanda come poter essere presenti pur essendo in continuo cammino.

Ci si domanda se la parola può essere ancora presenza seppur lieve, granulo di cenere fissato sulla e nella pelle, che pur svanendo, resti, che pur essendo interrogazione abbia coscienza della propria matrice, dell’altra impronta, dell’altra lingua, del pensiero laminare, che ripeschi dall’ombra, difettato eppure già sgrossato, la luce del cristallo più puro, e lo sguardo.

Due temi emergono, la questione femminile, e il percorso ri-legato quasi religioso-politico-rituale intorno alla diaspora del popolo ebraico.

Nell’introduzione a Dieci Bozze, Renata Morresi dice di queste morti che sono il segnale del passato che continua a lampeggiare … ad avvertire di genocidi vecchi e nuovi. Ancora esistono dentro la politica 10 , e …Viviamo sotto il loro segno …

Il pensiero va al libro del silenzio del fotogiornalista d’inchiesta Gilles Peress, The Silence, appunto. Rwanda, 1994. Testimonianza di un eccidio 11.

Nella prima fotografia, la didascalia riporta:

a prisoner, a killer is presented to us,

it is a moment of confusion, of fear,

of prepared stories.

he has a moment to himself.

La lingua non arriva a dirsi…12, l’intelligenza, è la sola che può darci strategie di difesa, altrimenti ci estingueremmo, la vita stessa ci estinguerebbe. Quindi la responsabilità.

Allora pur essendo parole rattratte, frammenti che erodono, viaggia la voce del viaggiante… immaginando i resti, camminando fra blocchi neri (B52: Midrash, p.109), scorrendo come acqua di sorgente, creando strategie, o cercandole.

In Dieci Bozze gli stessi significati, i semplici articoli e le parole di collegamento (ponti), si fanno portanti di queste giunture e collegamenti, snodi nodali, e da quel punto prende su di sé la fitta trama del castello dei draft, del mondo, del prima e del dopo del mondo.

Il DEL che appartiene a – o non appartiene più, ma resiste, sogno nel sogno di qualcuno che è già morto – a chi appartengo dunque?

Nel libro molti rimandi ad autori nostri europei e d’oltre oceano, contribuiscono a estendere questa rete che sto cercando di tessere, già ben indicati da Eleonora Tamburrini nel suo commento su Adamo (http://adamomagazine.wordpress.com/2013/05/17/tanto-perdute-tanto-antiparola-renata-morresi-traduce-rachel-blau-duplessis/).

Nominare però Paul Celan, «Argumentum e silentio».

Qui si pone presenza, in una sottrazione continua, quello che resta, traslato per riflesso, non è mai cinismo, e non è mai rottura, o dispersione fine a se stessa, la postura non indica rassegnazione, ma figura sempre in atto di alzarsi.

C’è tempo e tempo persino quindi atteggiamento. (B42: Epistola, Studi, p. 81)

Così, le idee non sono “nostre” e, con valenza fortemente antropologica, questo discorso chiede: se l’atto umano, così riassunto, possa restare e continuare, possa trasformare, anche questo passaggio stretto indicato da così piccole tracce, da collegamenti che si logorano, sfrangiano, ma che interrogano con chiarezza e coscienza il pensiero.

Non il possesso dei possessivi / ma le cose che richiedono il nostro Esserci (B60: Rebus), dove esserci porta la E maiuscola, dove un nostro tentativo deve essere fatto.

Maurice Blanchot, ne Lo spazio letterario 13, nel capitolo La solitudine essenziale:

“Quando scrivere è consegnarsi all’interminabile, lo scrittore che accetta di sostenerne l’essenza perde il potere di dire “io”.”

“Nell’annullamento al quale è sollecitato, … resta in qualche modo presente: ciò che parla non è più lui, ma non è neanche il puro scorrere della parola di nessuno. Dell’io cancellato egli mantiene l’affermazione autoritaria, benché silenziosa. Del tempo attivo, dell’istante, mantiene l’incisività, la rapidità violenta. In questo modo egli si preserva all’interno dell’opera, si contiene in essa, dove non c’è più contenimento. Ma anche l’opera conserva, a causa di ciò, un contenuto, non è tutta interiore a se stessa.”

Egli è me stesso diventato nessuno, gli altri diventati altro, e vuol dire che, là dove sono io, io non posso più rivolgermi a me stesso (bisogna partire da dove si è) e che chi si rivolge a me non dice Io, non è se stesso.”

Sui riferimenti all’arte visiva … che permanentemente si decostruisce 14

Ho pensato a Anselm Kiefer, nato nella Germania del dopoguerra, nelle sue opere, compaiono nomi, di donna, “Margarete”, “Lilith”, l’assenza delle figure umane, la storia è fatta dagli esseri umani ma loro non compaiono mai, come se fossero stati risucchiati dal passato stesso, solo luoghi e zone irriconoscibili sono degni di essere rappresentati 15

Anselm Kiefer : LiLith am Roten Meer - Anselm Kiefer - Berlin's Museum for contemporary

LiLith am Roten Meer, Anselm Kiefer – Berlin’s Museum for contemporary (particolare)

http://worldvisitguide.com/oeuvre/photo_ME0000115063.html

Ho pensato in particolare a LiLith am Roten Meer di Anselm Kiefer, la tela non presenta corpi, ma abiti di cotone che volano.

“Gli uccisi sono veramente uccisi.” Le lettere volano via nel cielo / con un crepito caldo mentre i corpi giacciono / foglietti inerti di luce e di ombra / nel fumo / al fumo / abbandonati e inermi. (B52: Midrash, p. 127)

Portai in braccio la mia anima …. una bambola di bambole di bamboline / con la pelle di una bambina. (B98: Canzone, p. 173)

Ho pensato al segno di Cy Twombly (B17: Senza Nome, p.53), alla bellezza di poter vedere i neri e i bianchi, forse percepire prima il nero dei caratteri sulla pagina bianca, il silenzio che capovolge.

Sulla questione femminile ho pensato a Sophie Calle 16, per la mappatura e il lavoro autobiografico anche.

In ABBIA CURA DI SE’, del 2007.

107 donne interpretano a modo loro la lettera dell’abbandono.

L’autrice: “J’ai reçu un mail de rupture. Je n’ai pas su répondre.
C’était comme s’il ne m’était pas destiné. Il se terminait par les mots : “Prenez soin de vous”.
J’ai pris cette recommandation au pied de la lettre.
J’ai demandé à 107 femmes, choisies pour leur métier, d’interpréter la lettre sous un angle professionnel.
L’analyser, la commenter, la jouer, la danser, la chanter. La disséquer. L’épuiser. Comprendre pour moi. Répondre à ma place.
Une façon de prendre le temps de rompre. À mon rythme.
Prendre soin de moi.”


Tutto in questo sguardo, molto disordinatamente tracciato, trova un senso.

In Dieci Bozze la relazione passa come un ago, stilisticamente il racconto, il carteggio, l’analisi consapevole della lingua, il montaggio, le immagini reali, tutto è cura, riflessione sentita, vissuta, poi resa, come restituzione al vitale, perché di questo penso si tratti, di un lavoro esteso di restituzioni al mondo.

Rivela che nulla ci appartiene realmente, solo nella misura in cui lo abbiamo intuito e riflesso, siamo un tramite attraverso, passibile di indignazione dolore sentimento, è possibile ancora scandagliare il reale, trovare indicazioni su come può essere osservato, il senso del reale, a lato di ciascuno di noi.

Tutto erode, intorno, ma non nella relazione, questa è il ganglio in un sistema di connessioni. E’ solo nel passare, e nello stare là dove ci si trova, è lì dove accadono le cose, nelle giunzioni, nelle giunture, che le cose mutano, si mutano.

Lì sono gli angeli, scesi a parvenze o cose, l’Orione di Char e degli irochesi costruttori di ponti che veneravano quella costellazione.

Ogni giorno un affondo e una scoperta, ogni giorno / un cambiamento 17.

Le traduzioni evaporanti / cambiano, riformano / e non smettono 18 , perché interpretiamo.

Per essere il più vicini possibile al dato senza eluderlo nelle sue sgranature, il poeta regge il peso del reale essere presente, da forma a impetuose viventi catene 19.

Orione sceglie di cadere, dall’alto del suo esilio, tra noi: straniero in terra straniera, umanissimo traghettatore affaccendato tra una riva e l’altra del mondo, pronto a tenere a galla, col palmo della mano rivolto verso l’alto, “i nostri minori a nuoto in acque gelide”. 20

Note

1 XX

Chi oserebbe dire che quanto abbiamo

distrutto valeva cento volte quanto

avevamo senza posa sognato e trasfigurato

parlando sommessi alle rovine?

René Char

da René Char e Vittorio Sereni «Due rive ci vogliono», Donzelli Editore, p. 41

Il pensiero va a Vittorio Sereni (recentemente è stato il centenario della nascita) e a René Char, al carteggio intercorso tra i due poeti, fittissimo e ricco di scambi. Un’amicizia durata 23 anni (interrotta solo dalla morte di Sereni nel 1983).

Sereni che già aveva tradotto William Carlos Williams, scoprì più tardi che Williams amava la poesia di Char e che c’era stato un breve scambio di corrispondenza tra i due.

Vinse il premio Monselice per la traduzione da Char, Ritorno Sopramonte,nel 1976.

2 tutto significa qualcosa, in qualche posto (B36: Centone, p. 63), di nuovo e nuovamente (B16: Titolo, p, 39)

3 Renata Morresi nell’ introduzione a Dieci Bozze, Vydia Editore, p. 15

4 B60: Rebus, p. 141

5 B63: Dialogo del sé e dell’anima, p. 145

6 Elisa Donzelli nella postfazione a René Char e Vittorio Sereni «Due rive ci vogliono», Donzelli Editore, (p. 122)

7B17: Senza nome, p. 59

8 B60: Rebus, p.135

9 B60: Rebus, p. 129, e su Heidegger:

René Char e Heidegger, incontrato per la prima volta a Parigi, in casa di Jean Beaufret, nell’estate 1955.

Quell’incontro è stato l’inizio di una lunga amicizia, di un dialogo profondo tra un poeta e un pensatore (http://rebstein.wordpress.com/2011/05/11/rene-char-lettore-di-arthur-rimbaud/).

10 Nell’introduzione a Dieci Bozze, Renata Morresi dice di queste mortiche sono il segnale del passato che continua a lampeggiare … ad avvertire di genocidi vecchi e nuovi. Ancora esistono dentro la politica (B52: Midrash, pag. 105) e Viviamo sotto il loro segno …

11 The Silence, Gilles Peress, Testi: Des Forges Alison. F.to: 16×22; pagg. 208; 100 bicromie; rileg. Brossura. Editore: Scalo, Zürich.

A collection of 80 photographs which in three chapters traces the horror of the massacres of Rwanda. The first set of pictures deals with the killings carried out by the old regime, the second shows the camps of the Hutu refugees, while the third shows images of slaughter and pestilence.

12 B52: Midrash, p.109

13 Maurice Blanchot, Lo spazio letterario, con un saggio di Jean Pfeiffer e una nota di Guido Neri, Giulio Einaudi Editore, prima edizione nei Reprints, 1975, pp. 12-13.

14 B52: Midrash, p119

15 http://mauriziocattelan81.blogspot.it/2006/12/anselm-kiefer-lartista-della-storia.html

16 Sophie Calle, ABBIA CURA DI SE’, 2007

Catturare le idee e poi ridistribuirle come pezzo del proprio vissuto soggettivo: è il tratto costante e comune delle opere concettuali di Sophie Calle. Ossia fare del mondo, di ogni cosa del mondo, la propria autobiografia. (http://it.wikipedia.org/wiki/Sophie_Calle)

Il libro è uscito in italiano per l’editore Contrasto Due, nel 2007, (ora esaurito).

Per Sophie Calle, vedi anche, http://www.barbarakrakowgallery.com/sophie-calle)

Ricordo anche il più recente lavoro di Sophie Calle sul visibile, Aveugles cominciato nel 1986.

(rif.: http://www.bartlebycafe.com/aveugles/)

17 B42: Epistola, Studi, p. 79

18ib., p. 83

19ib., p. 91

20 René Char e Vittorio Sereni «Due rive ci vogliono», Donzelli Editore, Elisa Donzelli postfazione, p. 121